We can, I can. di Ada Arena

Una data, uno slogan può significare tanto o lasciare indifferenti. Questo il messaggio lanciato il 4 febbraio u.s. dalla Giornata Mondiale contro il big Killer, il cancro. Avente per motto: “We can, I can”: Noi possiamo, io posso”. Un messaggio, dunque, che indica l’opportunità che, tutti abbiamo il dovere di prendere parte alla battaglia contro il cancro, poiché anche una singola persona può fare la differenza.
Fare la differenza: da questa realtà parte la riflessione, motivata da un vissuto esperienziale affrontato recentemente con la consapevolezza, che la costante prevenzione può delimitare l’insorgere del cancro, con controlli mirati, quali la mammografia, l’ecografia della mammella o di altri organi del nostro organismo.

Operata dodici anni fa di tumore alla mammella sx, annualmente, mi sottopongo a controlli diagnostici, così come è avvenuto per l’anno in corso, dai risultati viene diagnosticata un “recidiva” poi confermata dalla biopsia con successivo inevitabile intervento chirurgico. Una sentenza lacerante e inequivocabile della parola “tumore” sotto il profilo psicologico.
Tra il serio e il faceto, ironizzo sul significato del termine “recidiva” perché suona come una nota musicale stonata, dopo dodici anni di assidua prevenzione.

Segue ricovero in Day-Hospital o Service-Hospital, denominazione derivata dalla lingua inglese: “più soft” sostituendo la pronunzia in lingua italiana per dire ricovero ospedaliero, se poi, il significato corrispondente è sempre quello di sofferenza e cura.
Accoglienza, smistamento, raccolta di dati anagrafici e anamnestici del paziente si effettuano in un susseguirsi di prelievi ematici diagnostici di routine, mentre, intanto, visi stravolti e confusi si interrogano silenziosamente, nell’attesa di capire “cosa accadrà”.
Da paziente fra pazienti, pur condividendone l’ansia e i timori giustificati, mi identifico con loro, mentre mi sorprendo attenta osservatrice, per deformazione professionale, in qualità di psicologa, facendo opera di chiarificazione e sostegno, adottando i metodi della terapia di gruppo.
Intanto, un susseguirsi di eventi portano da un sanitario all’altro; un “braccialetto” con su scritto, nome e cognome del paziente e un numero identificativo progressivo individuale e ti chiedi se trattasi di una “cosa” o “persona” di una serie. Le parole pudore, riservatezza, diventano “suoni” che si disperdono in un lontano echeggiare nel vuoto, perché, si è a discrezione di tutti, di ogni operatore sanitario, creando in noi donne un particolare stato di disagio esistenziale che invade la sfera affettiva, specie, quando, questi eventi aggrediscono in età avanzata.
Anche se è assodato che noi donne abbiamo una marcia in più rispetto agli uomini nell’affrontare difficoltà, tutta la fragilità del nostro essere persona, emerge in un simile contesto vitale, cioè nella malattia, quindi prendere anche decisioni che riguardano il decorso senza riserve mentali e ipocrisia.

Dilemma. Su inicazione del chirurgo oncologo, due opzioni: intervento parziale o mastectomia.
Diagnosi sentenziale, senso di smarrimento decisionale, mentre, ti guardi intorno, prendi coscienza e scopri che la vita ha altri colori, oltre quelli dell’attesa e dell’adempimento di momenti gioiosi e di rara felicità che appagano il nostro essere donna.
Sala operatoria, tavolo rigido, gestualità convenzionale di ferristi, infermieri, assistenti, addetti ai preliminari esecutivi, assie1ne al rumore metallico di strumenti chirurgici, per l’atto operatorio da eseguire e affidato, alla competenza del chirurgo oncologo. Attorno, volti velati da mascherine, cuffie, guanti dal dominante colore verde per ogni vestimenta. Sembra un rito sacrale mentre la gelida aria climatizzata percorre il nostro corpo, oltre la fisicità. Sulla parete di fronte al tavolo operatorio, l’immagine di un Cristo domina solitario, icona di sofferenza umana. “L’attimo fuggente” di un pensiero fortemente incisivo, attraversa la mente, e da credente sostengo con fede, che il bisturi può affondare la lama nel nostro organismo, mai nella nostra anima, icona, tabernacolo del Dio vivente che è in noi!
“E poi, la catartica anestesia del nulla!”

di Ada Arena

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